Chi sono: Gianni Bailo, nasco professionalmente come odontotecnico, con una grande passione per l'arte informale. Maturata la pensione decido di sviluppare la mia vocazione nell'arte. Prediligo il ferro come materiale (ritenuto vile) avendo la presunzione di nobilitarlo. Quindi, se prima usavo il ceratore per modellare le mie sculture dentarie, ora uso l'elettrodo della saldatrice per dare forma alle mie creature ferrose.
O testa o croce
Deve dormire poco Gianni Bailo, se lo perdi di vista per un paio di mesi lo trovi nuovamente in corsa, la candida barba al vento, verso nuovi traguardi nuove tecniche nuovi ferri.
Ammirando la sua ultima produzione come possiamo non domandarci, rischiando la banalità, testa o croce? Non con riferimento all’antico sistema di scommesse, sia chiaro, ma all’essenza e alla genesi della galleria di ritratti che sta via via allestendo.
Teste! una selva di teste, ricavate con tecnica inusuale, apportando per successive accessioni strati di metallo là dove i volumi dei nascenti ritratti ne fanno impellente richiesta.
Sul percorso che qui ha condotto l’artista, furon dapprima alcune testoline o rotulei basamenti tratti da emisfere, e scavati e tormentati e infine licenziati quando l’equilibrio tra pieni e vuoti venne ritenuto soddisfacente. Scavati s’è detto, dunque togliendo materiale alla maniera dello scolpire il marmo, non i metalli, che sogliono emergere da uno stampo facendosi strada a danno della debole cera, e lasciando alla mano dell’artista solo superficiali ritocchi di cesello. Nessun metallo si presta supino a farsi ridurre come le voglie di uno scultore pretendono, e Gianni di voglie ne ha (seppure non più come un tempo, suppongo). Bailo il metallo lo vince, lui il ferro lo scava come fosse morbida pietra serena, o lo accresce come solo la creta consente prima di conoscere il forno. Come? con aggeggi infernali rinvenuti nell’antro di Vulcano e nobilitati nell’uso.
Vennero poi le mani, e qui s’affacciò l’altra tecnica di aggiungere ferro al ferro, per addizione diremmo propriamente, dunque altri metalli tormentati, altro racconto: ah… quelle femminee così eleganti e slanciate che anelano ai simboli della ricchezza, quale forza espressiva! e l’altra, carezzevole e infìda, che esorcizza l’infamità della pedofilia, e quelle che disvelano l’arcano andando oltre il sipario, come Lucio Fontana ardì fare oltre la tela.
Ora le teste, una selva di teste. Non l’invenzione fine a sé stessa, non la riproposizione di temi da altri esplorati (e forse esauriti), ma l’espressività è il quid pluris che deve dare, e Bailo dà, chi si cimenta sui tormentati sentieri comunemente chiamati arte. L’immagine è fornita dalle facce dei suoi amici e sodali, Bisio dapprima, sardonico quanto basta ed assistito da una simbolica chiave che ne ricorda giovanili empiti; poi il Conte, la cui serena espressione testimonia come anche l’alto lignaggio possa non collidere con la fatica richiesta allo scultore; infine i propri irsuti zigomi, percorsi da composti riccioli di barba che ricordano certe opere marmoree neoclassiche, lavorate al violino con pazienza e precisione.
Già, però son di ferro, ma come avrà fatto? Ah! duro com’è, deve aver portato una bella croce…
10 dicembre 2011
Roberto Vaggi